Francesco Sciotto è italiano ma vive a Ginevra. Non è figlio di un Rettore potente ma oggi, a 33 anni, è Medico Specialista in Medicina Interna e continua la sua formazione e il suo perfezionamento in Svizzera. In Italia, dove lui si è laureato (Sapienza Università’ di Roma con voto 110/110 e lode e premio di Laurea), non conosciamo il suo nome, quello di Tomasello sì. Purtroppo.
Francesco Sciotto ha completato la sua formazione presso il Servizio di Medicina Interna Generale e il Servizio di Medicina d’Urgenza dell’Ospedale Universitario di Ginevra, dove attualmente ricopre il ruolo di Capo clinica.
In Italia?
Dopo la Laurea, tanto lavoro in ospedale non retribuito per “guadagnarsi” un posto in scuola di specializzazione e qualche guardia medica per poter sopravvivere da fuori sede.
Parlare con lui è piacevole, giovane, energico, lucido e contestualizzato nei confronti di questa nostra Italia che è ancora quella che lui ha lasciato. Francesco ci racconta come non si è scoraggiato e perchè non è rimasto in Italia ma si è rimboccato le maniche ed è andato via. Purtroppo, per noi italiani, è andato via!
Dottore Sciotto, cosa l’ ha delusa del sistema scolastico e universitario italiano?
Credo che uno dei ruoli chiave del sistema scolastico prima e dell’università dopo sia quello di permettere allo studente di poter proseguire i propri studi e coltivare i propri interessi in base alle proprie capacità, le proprie inclinazioni e aspettative. Si tratta di un percorso in cui la scuola deve “formare” e per formare intendo anche aiutare lo studente a trovare la sua strada, il suo centro di interessi, stimolare e nutrire la sua curiosità in maniera tale che possa affinare le proprie capacità e conoscenze. Va da sé, che questo tipo di percorso è inconcepibile senza un sistema di fondo meritocratico e giusto. Personalmente non voglio dire che tutta la mia esperienza scolastica è stata deludente. La mia formazione pre-universitaria, mi ha dato tanto e sono riconoscente a quei professori he hanno creduto in me e mi hanno spinto ad andare oltre. L’università dal canto suo invece è stata un altra storia. Parecchi i punti dolenti: un contenuto formativo non sempre up-to-date, nessun vero tipo di incoraggiamento personale, il mero ridursi a volte a un semplice numero di matricola e infine le ingiustizie e l’assenza di trasparenza. Fino all’esame di specializzazione comunque le ingiustizie le vivevo un po da lontano, perché se eri preparato, gli esami andavano bene. Al primo concorso pubblico invece ho avuto la mia prima doccia fredda e questo nonostante il mio curriculum.
Quando ha capito che in Italia non avrebbe fatto molta strada?
Credo di aver realizzato che in Italia sarebbe stato complicato, dopo l’esame di specializzazione. Deluso da quello che mi era successo, avevo lasciato la mia alma mater, per provare a fare strada in un’altra università e un altro ospedale sperando in un sistema magari un pochino più trasparente. Tuttavia non riuscivo a capacitarmi di quanto stavo vivendo e tutto il sistema mi sembrava ingiusto, sbagliato. Avrei dovuto continuare a lavorare senza remunerazione da fuori sede per potermi “guadagnare” un posto in specializzazione. Qual’è allora il ruolo di un concorso che dovrebbe valutare i tuoi meriti e le tue competenze? Dov’è la meritocrazia? Lì ho capito che anche dopo la specializzazione, le cose non sarebbero state semplici, che di concorsi pubblici e problemi ce ne sarebbero stati altri e che nonostante i miei sforzi, il sistema non era per nulla pronto a cambiare. E quindi sono andato via.
Che cosa cambierebbe del sistema di istruzione italiano?
Domanda complicata. Il sistema d’istruzione italiano conta dei professionisti di tutto rispetto, delle persone che fanno questo lavoro con passione e voglia di “dare”. Credo che uno dei punti su cui lavorare siano le infrastrutture e il rapporto professori/studenti. Delle classi con meno studenti potrebbero permettere di meglio adattare la formazione al livello della classe e stimolare e coltivare le differenti competenze personali degli alunni. In delle classi di grandi dimensioni, la cosa non sempre è praticabile. Un altro dei punti chiave è la valorizzazione della formazione professionale. In Italia le scuole professionali sono viste quasi come delle scuole di serie B dai giovani studenti, dalle loro famiglie e spesso anche dagli insegnanti stessi. Da un lato quindi si scelgono delle scuole che magari non corrispondono al profilo dello studente e dall’altro il numero e la disponibilità di determinate figure professionali qualificate diminuisce. Inoltre le nostre scuole professionali tendono a essere un po meno “professionali” (scusa la frase), perché valorizzano soprattuto la parte teorica, quindi il giovane studente si troverà in difficoltà una volta sul campo. La situazione svizzera è differente, la formazione professionale, con stages in fabbrica o in officina, è veramente di alto livello e le figure che ne escono sono altamente competenti. Riguardo l’università, difficile fare un’analisi completa. Credo che il concetto di rinnovamento debba essere in primo piano, soprattuto in un ambito in cui la conoscenza si evolve continuamente. Quindi anche i contratti dei Professori dovrebbero essere a tempo determinato con scadenza fissa e il rinnovo dovrebbe essere legato alla loro attività di ricerca, alle loro attuali conoscenze e competenze. Questo potrebbe da un lato aumentare i posti di lavoro per nuovi ricercatori e d’altro mantenere elevata e competitiva la qualità della formazione. Un secondo punto è lo stimolo all’attività di ricerca e la valorizzazione sul piano economico dei ricercatori. Il presupposto indispensabile restano la giustizia, la meritocrazia e la trasparenza.
Qual è la maggiore soddisfazione che ha provato nella sua esperienza ginevrina?
A Ginevra, le cose sono un po’ diverse. Il sistema non è perfetto ma la scommessa sui giovani professionisti è attuale e si spende molto nel settore formazione e ricerca. Il mio lavoro mi da parecchie soddisfazioni, ogni giorno. Ma credo che le soddisfazioni più grandi restino mia moglie e mia figlia.
Ha avuto mai la sensazione, quando studiava in Italia, che qui non avrebbe fatto carriera?
Fino all’università no. Credevo di trovare il mio posto e credevo che mettendocela tutta ce l’avrei fatta. E invece no. All’università mi sono reso conto che non basta il proprio curriculum, le proprie capacità e il proprio entusiasmo…
Adesso di cosa si occupa? Guadagna bene?
Dopo la specializzazione, lavoro in ospedale tra il pronto soccorso e il servizio di Medicina Interna. Gli orari sono duri ma il lavoro è valorizzato e si guadagna abbastanza bene, tanto almeno da poter metter su famiglia.
Cosa l’ ha portata a Ginevra? Cosa ha fatto per avere questa opportunità?
Diciamo che quando ho realizzato di dover lasciare l’Italia, ho iniziato a inviare dei curriculum in vari centri in Europa. Ginevra è stata una delle prime a essere interessata e a rispondere positivamente e i colloqui preliminari che ho fatto mi hanno particolarmente impressionato. Le possibilità di carriera, un sistema più giusto, i percorsi di formazione individualizzati, le condizioni di lavoro e la valorizzazione economica mi hanno fatto propendere per questa destinazione.
Cosa suggerisce alle eccellenze italiane come lei?
Ogni percorso è diverso, senza dubbio. Credo comunque che chi, come me, è stato deluso da un sistema in cui aveva riversato speranze ed energie, dovrebbe evitare di scendere a compromessi e cercare di ricostruire un percorso altrove. Scendere a compromessi e adattarsi non permette al sistema di evolversi e cambiare. La “fuga” dei professionisti italiani è quindi solo la logica conseguenza di un sistema che non funziona più. Mi dispiace parlare così perché amo l’Italia e la mia Sicilia con la mia famiglia mi mancano parecchio.
Non voglio comunque fare generalizzazioni. Esistono dei professionisti che restano e che riescono dopo diverse difficoltà a realizzare i loro progetti. Io credo e spero in loro, credo nel loro talento e spero nella loro capacità di non conformarsi e di non dimenticare.
Sa che in Italia hanno scoperto che un professore universitario messinese aveva copiato molte pubblicazioni e oggi è ancora in cattedra? Cosa ne pensa?
E’ una sconfitta per tutta la pubblica istruzione che ne esce svilita e impoverita nel confronto internazionale.
Anche nostro figlio si sta specializzando al HUG di Ginevra Servizio di Radiologia . Ci manca tanto!
Conoscere alcune esperienze di giovani seri e responsabili ci inorgogliscono e entusiasmano, solo alcuni particolari ci fanno venire rabbia; non essere riconosciuti e apprezzati nel loro Paese e non ultimo trovare le porte di accesso al loro futuro sbarrate! Buona continuazione Francesco! per fortuna che, fuori dall’Italia,le porte sono spalancate ai meritevoli!